L'IMPOSSIBILITÀ SOPRAVVENUTA: DI COSA SI TRATTA E PERCHÈ NON SEMPRE È INVOCABILE

Il diffondersi dell'epidemia da Covid-19 ha innescato, per la prima volta nella storia, un'emergenza sanitaria ed economica di livello mondiale, con gravi ripercussioni legali.
Sono molti i problemi che stanno emergendo: quale sorte ai contratti di servizi e forniture oggetto di blocco dell'attività? Quale sorte ai contratti di locazione dell'immobile in cui è sita l'azienda? Come regolare i pagamenti periodici, in un momento di crollo economico generale e di crisi di liquidità?

Le norme emanate in via d'urgenza dal Governo non regolano direttamente la sorte dei rapporti giuridici e contrattuali tra privati. Un'unica disposizione al riguardo, ovvero l'art. 91 D. L. 18/2020, recita che “il rispetto delle misure di contenimento (...) è sempre valutata ai fini dell'esclusione della responsabilità del debitore” per ritardi o inadempimenti.
In verità, la norma non significa che l'emergenza attuale è una valida giustificazione di inadempimento o ritardo: non legittima quindi le parti a non adempiere i contratti, che rimangono pienamente validi ed efficaci. La norma impone solo di valutare se il rispetto delle misure di contenimento del contagio abbia influito o meno sulla mancata esecuzione del contratto.
Un esempio per chiarire: Tizio vende a Caio la sua macchina con l'impegno di consegnargliela entro e non oltre il 27 marzo 2020. Normalmente, se Tizio non consegna la macchina entro quel termine, il ritardo è fonte di responsabilità (possono esserci penali, scatti di interessi, etc). Ma se il ritardo è dovuto al fatto che Tizio non può uscire di casa per portare la macchina a Caio, a causa delle misure urgenti di contenimento del contagio, Tizio non può dirsi responsabile del ritardo, e quindi non dovrà pagarne le conseguenze.

Fuori da questi casi, in assenza di regole specifiche per l'attuale emergenza, molti professionisti invocano il rimedio della sopravvenuta impossibilità della prestazione, di cui agli artt. 1256 e 1463 c.c., per regolare i rapporti contrattuali pendenti e offrire strumenti di tutela alla parte in difficoltà.
Non sempre però il rimedio può essere invocato e non sempre è davvero conveniente.

In via generale occorre far presente che i contratti hanno forza di legge tra le parti, e vanno eseguiti come sono stati accordati: solo un successivo accordo tra le stesse parti può modificarne le condizioni (i romani dicevano “pacta sunt servanda”).
Con l'istituto dell'impossibilità sopravvenuta la legge disciplina il caso in cui si verifichino, dopo la conclusione del contratto, circostanze, fatti o eventi, non conosciuti o conoscibili al momento della stipulazione, che incidono sul contratto e rendono impossibile eseguire una delle prestazioni promesse.
L'impossibilità della prestazione ha l'effetto di estinguere l'obbligazione e sciogliere il contratto, che viene meno, come se non fosse mai stato sottoscritto. Allo scioglimento del contratto consegue che ciascuna parte deve restituire all'altra tutto ciò che abbia precedentemente ricevuto in forza del contratto estinto.

L'impossibilità deve avere però caratteristiche specifiche per sciogliere il contratto: deve essere sopravvenuta, oggettiva, definitiva e non imputabile al debitore.

In primo luogo, l'impossibilità deve essere sopravvenuta, e non originaria.
Essa deve cioè presentarsi dopo la stipulazione del contratto, ma prima della costituzione in mora.
Deve sopraggiungere prima della costituzione in mora, ai sensi dell'art. 1221 c.c, perchè la parte  costituita in mora è già inadempiente, ovvero ha già violato l'accordo contrattuale. Se potesse invocare il rimedio dell'impossibilità per liberarsi dal contratto violato ne ricaverebbe un vantaggio ingiusto, a danno dell'altra parte, senza rispondere della violazione. Ecco allora che l'inadempiente non può avvantaggiarsi dell'impossibilità e il contratto non si scioglierà. L'inadempiente dovrà quindi pagare all'altra parte il valore della prestazione divenuta impossibile e risarcire i danni.

In secondo luogo, l'impossibilità deve essere oggettiva.
La prestazione deve cioè diventare impossibile in sé e per sé, e non in relazione a quel soggetto specifico, ma tale che qualunque uomo non potrebbe eseguirla.
Da ciò deriva che non assumono rilevanza il dissesto economico o le sopravvenute difficoltà economiche di una parte, che rappresentano condizioni soggettive e non riguardano la prestazione in sé e per sè. Al riguardo si sostiene che è sempre possibile per la parte in difficoltà reperire del denaro, anche ricorrendo a forme di credito e prestito (questo perchè il denaro è il bene fungibile per eccellenza, che viene considerato non per quella specifica banconota ma per il suo valore numerico, tanto che se devo pagare 10 è indifferente quali o quante banconote utilizzo o di chi siano, purchè io paghi 10).

In terzo luogo, l'impossibilità deve essere definitiva.
Essa deve perdurare per tutto il tempo in cui l'altra parte mantiene interesse a ricevere la prestazione promessa nel contratto. 
L'impossibilitàtemporanea, quindi, non è sufficiente per sciogliere il contratto.
Tuttavia, l'impossibilità temporanea incide sul contratto perchè esclude la responsabilità da ritardo, se questo ritardo è stato determinato da impossibilità temporanea. In questo senso allora si verifica una sorta di breve “sospensione” del contratto, ma, terminata l'impossibilità, la parte deve adempiere e pagare come prima.
Occorre tuttavia precisare che l'impossibilità temporanea non equivale a un diritto di ritardare la prestazione: l'altra parte, infatti, di fronte al ritardo può liberamente recedere al contratto o dichiarare di non avere più interesse a ricevere la prestazione, sciogliendo così il contratto.

In quarto luogo, l'impossibilità deve essere non imputabile alla parte contrattuale che la invoca, ovvero deve derivare da circostanze esterne, imprevedibili, inevitabili e ingovernabili, da forza maggiore o caso fortuito.
La forzamaggiore è solitamente individuata come quel fatto imprevedibile e inevitabile cui l'uomo non può resistere, ovvero calamità naturali, terremoti, naufragi, etc.
Il caso fortuito invece è quella circostanza umana o naturale che si crea, quasi irripetibilmente, in un dato spazio e tempo, senza previsione e senza evitabilità e che ha una forza causale sua propria.

Solo quando l'impossibilità ha tali caratteristiche può essere invocata per liberarsi da un contratto.

Dai requisiti esposti, elaborati nel tempo dalla Cassazione e risalenti a una tradizione millenaria, si ricava che non si può invocare il rimedio dell'impossibilità sopravvenuta per sciogliersi da quei contratti con obbligazioni pecuniarie, ovvero relativi a pagamenti in denaro, e con prestazioni fungibili, ovvero aventi ad oggetto beni sempre sostituibili e reperibili.
A titolo d'esempio: i contratti di locazione si possono sciogliere se diventa impossibile per il proprietario garantire al locatario il godimento e l'uso di quel preciso immobile (si pensi, al riguardo, alle strutture alberghiere e fieristiche requisite e destinate ad ospedali da campo, o ai casi di sopravvenuta distruzione dell'immobile per cause di forza maggiore). Al contrario, non può configurarsi impossibilità sopravvenuta  nei casi in cui il locatario non riesce più a pagare il canone, per crisi di liquidità.

In alcuni casi poi, il rimedio, pur invocabile, può non essere davvero conveniente per la parte, che ha interesse a proseguire gli affari economici con l'altra parte (si pensi ai rapporti tra imprese).
In questi casi, e quando non è invocabile l'impossibilità sopravvenuta, che tutela ha la parte contrattuale in difficoltà?
L'arma migliore, sempre utilizabile, rimane la rinegoziazione del contratto.
La stipulazione di un nuovo accordo a condizioni diverse, capace di soddisfare i nuovi interessi di entrambe le parti, rimane il miglior modo per le parti di regolare i loro rapporti, anche al tempo del Covid-19, se del caso prevedendo specifiche clausole di rinegoziazione futura.
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07/04/2020